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lunedì 5 novembre 2012

Il paradiso degli orchi


La Parigi di "Il paradiso degli orchi", romanzo inaugurale del ciclo di Malaussène (serie di romanzi che ha fruttato a Daniel Pennac una indiscussa notorietà), è quella del quartiere Belleville. Al suo interno, il micro-cosmo, in qualche misura asfittico, di un centro commerciale. Il protagonista è Benjamin Malaussène, di professione "responsabile del controllo tecnico", in realtà "capro espiatorio". E non in quanto vittima involontaria, bensì come complice puzzolente (e sì, perché il capro espiatorio puzza, e puzza inevitabilmente di capro) di un infernale sistema di potere: il potere del consumo.
Il centro commerciale vive la sua vita ordinaria, con i clienti che vanno e vengono, e che ogni tanto tornano per manifestare il proprio disappunto, con Malaussène che viene chiamato, assume su di sé l'universo intero delle colpe possibili per l'inconveniente lamentato del cliente di turno, si fa volontariamente e voluttuariamente annientare, lo muove a compassione e lo spinge, attanagliandolo con il senso camaratesco della sventura (quella sventura che avverte ogni vittima del sistema), a ritirare il proprio reclamo.
E poi, ad un certo punto, una bomba. Anzi, una serie di bombe. Ma bombe intelligenti, di quelle che colpiscono solo chi devono colpire, che uccidono i predestinati.
Accanto al centro commerciale, un altro micro-cosmo si alimenta delle energie del protagonista, l'ecosistema, ancora più surreale, della famiglia di Benjamin, fratello maggiore di una nidiata di consanguinei, generati da una madre assente, che dissemina padri per il mondo e che è sempre impegnata con una nuova ed incipiente storia.
E' tra questi due mondi che il povero Malaussène si muove, accompagnato da julius, il cane epilettico, da Theo, l'amico commesso tremendamente gay e da "zia Julie", la fidanzata-giornalista oniricamente persa nel proprio mondo di sesso declinato "al presente", mediandoli attraverso il racconto meta-narrativo e fantasmagorico delle proprie avventure giornaliere che la sera lo stesso Malaussène fa ai "piccoli".
Ed è così che, nei dintorni del Natale, visitato dal Santaclaus-Orco che mangia i bambini disegnato con una certa insistenza dal fratellino più piccolo di Benjamin, il passato ritorna e consuma una nemesi che rischia di celebrarsi proprio ai danni di Malaussène, anche in questa circostanza "capro espiatorio" predestinato.
L'indagine si svilupperò non senza colpi di scena, tra coincidenza astrologiche, esperimenti da "piccolo chimico" (con annessi incendi quasi-dolosi) ed illuminazioni folgorati, per portare alla scoperta del movente (a dire il vero pressoché inconfessabile) e dell'assassino.
Ma la circostanza più gustosa, che ha tutto il gusto del paradosso in cui si muove il libro (declinato in varie forme ed articolato con varie movenze), giunge alla fine: pur facendo di tutto per farsi licenziare dal grande magazzino e liberarsi al fine dell'odore di capro che lo perseguita, proprio quando ci sarà riuscito (scoprendo nel frattempo l'abisso della follia umana, travestita in panni insospettabili ed innocui), le sue indiscutibili doti lavorative gli faranno arrivare una valanga di offerte per quel preciso ruolo che lui stesso ha inventato. Ovviamente, il ruolo di capro espiatorio.
Gustoso, divertente, scritto sul filo dei pensieri, talvolta irriverenti, talvolta assurdi del protagonista, un libro che regala diverse ore di sollievo dagli affanni del vivere prosaico.

Daniel Pennac, nato nel 1944 in una famiglia di militari, passa la sua infanzia in Africa, nel sud-est asiatico, in Europa e nella Francia meridionale. Pessimo allievo, solo verso la fine del liceo ottiene buoni voti, quando un suo insegnante comprende la sua passione per la scrittura e, al posto dei temi tradizionali, gli chiede di scrivere un romanzo a puntate, con cadenza settimanale.
Ottiene la laurea in lettere, all'Università di Nizza, diventando contemporaneamente insegnante e scrittore.

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