Sulle nomine nei consigli di amministrazione delle società pubbliche un pochino di chiarezza non farebbe male. E, soprattutto, non farebbe male che il signor Legislatore si acquietasse una volta per tutte e decidesse, in modo univoco e non ondivago, come va regolata la materia.
Andiamo per ordine.
Il D.L. 95 del 6 luglio 2012 e ss.mm.ii. (la c.d. Spending Review) sulla materia tuonava con una certa chiarezza. La materia era regolata dal comma 4 e dal comma 5 dell'articolo 4:
4. I consigli di amministrazione delle società' di cui al comma 1 [ndr: società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato] devono essere composti da non più di tre membri, di cui due dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, per le società a partecipazione diretta, ovvero due scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a partecipazione indiretta. Il terzo membro svolge le funzioni di amministratore delegato. I dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, ferme le disposizioni vigenti in materia di onnicomprensività del trattamento economico, ovvero i dipendenti della società controllante hanno obbligo di riversare i relativi compensi assembleari all'amministrazione, ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio, e alla società di appartenenza. E' comunque consentita la nomina di un amministratore unico. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.5. Fermo restando quanto diversamente previsto da specifiche disposizioni di legge, i consigli di amministrazione delle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta, devono essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità' delle attività svolte. Nel caso di consigli di amministrazione composti da tre membri, la composizione e' determinata sulla base dei criteri del precedente comma. Nel caso di consigli di amministrazione composti da cinque membri, la composizione dovrà assicurare la presenza di almeno tre dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, per le società a partecipazione diretta, ovvero almeno tre membri scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a partecipazione indiretta. In tale ultimo caso le cariche di Presidente e di Amministratore delegato sono disgiunte e al Presidente potranno essere affidate dal Consiglio di amministrazione deleghe esclusivamente nelle aree relazioni esterne e istituzionali e supervisione delle attività di controllo interno. Resta fermo l'obbligo di riversamento dei compensi assembleari di cui al comma precedente. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.
In sintesi: nelle società pubbliche, il CDA è composto per 2/3 o per 3/5 da dipendenti pubblici. Che qualifica debbano avere questi dipendenti non è detto ma, a occhio e croce (visto anche il richiamo alla onnicomprensività della retribuzione), dovrebbe trattarsi di dirigenti pubblici.
Chiaro, con qualche mal di pancia in giro, ma indubitabilmente chiaro.
Solo che qualche giorno fa l'uscente governo Monti ha emanato il D.Lgs 39 dell'8 aprile 2013 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190) che ha, letteralmente, sovvertito l'ordine costituito.
Il comma 1 dell'articolo 9, infatti, spiega:
1. Gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione che conferisce l'incarico, sono incompatibili con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione o ente pubblico che conferisce l'incarico.
Ovvero: i dirigenti pubblici non possono essere nominati nei CdA delle società partecipate dal loro Ente e, se sono stati nominati prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo, decadono.
Certo, si potrebbe ipotizzare che basterebbe individuare un dirigente il cui incarico non comporti "poteri di vigilanza e controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato...".
Ma questa ipotesi (che equivarrebbe a dire: puoi nominare un dirigente nel CdA di una società, a patto che questo dirigente non ne capisca assolutamente niente di quello che fa la società), sembrerebbe comunque preclusa dall'articolo 12 del Decreto (comma 3, lettera C e comma 4, lettera C) che sembrerebbe dichiarare comunque l'incompatibilità del dirigente (interno o esterno) con le cariche in questione (NB: dico sembrerebbe, perché la formulazione dell'articolo 12, oltre ad essere sovrabbondante rispetto a tutto il decreto, non è particolarmente chiara; ovvero: se qualcuno - o meglio, se un segretario generale, in qualità di responsabile anti-corruzione - se la sente di avanzare una interpretazione diversa, si accomodi pure ...).
L'ultima soluzione: nominare nei consigli di amministrazioni del personale "non dirigente", il quale tuttavia,
- trovandosi a svolgere attività diverse da quelle per le quali è stato assunto (non risulta che nella declaratoria dei compiti di un funzionario ci sia quello di far parte di un consiglio di amministrazione), dovrebbe essere remunerato (in barba allo spirito dell'articolo 4 della Spending Review)
- verrebbe a trovarsi in una situazione di subordinazione gerarchica con quello stesso dirigente che non può essere nominato in quanto "portatore sano di corruzione" (almeno secondo lo spirito del Decreto Monti sulle incompatibilità)
- non avrebbe il profilo di autonoma responsabilità necessaria a svolgere un ruolo di questo tipo
Ora, non si potrebbe decidere una volta per tutte ed evitare di intervenire ad ogni piè sospinto sulla materia? Magari la norma da seguire non sarebbe perfetta, ma almeno sarebbe applicabile....
Ora come ora, invece, i consigli di amministrazione potrebbero rimanere vuoti, per impossibilità di nomina.
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