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venerdì 10 maggio 2013

I dirigenti a tempo determinato nei Comuni italiani

Qualche giorno fa, l'Ifel (una fondazione dell'Anci) ha pubblicato il dossier “Il personale dei Comuni italiani” nel quale analizza i dati relativi al 2011 (raccolti dal Ministero dell'Economia e delle Finanze nel 2012 a proposito di 8.040 comuni, su un totale di 8.092).
Il documento consente di ricavare alcuni dati interessanti in relazione ai Dirigenti comunali e, anche se non se ne occupa direttamente, con qualche sforzo di elaborazione permetti di ricavare anche alcune informazioni relative ai Dirigenti comunali a tempo determinato.
Il quadro che ne scaturisce è abbastanza interessante.
Nel 2011 i dirigenti comunali (senza considerare i Direttori Generali) erano 5.168, ovvero 1 dirigente ogni 85 dipendenti (84,79 per la precisione) ed 1 dirigente ogni 11.500 abitanti circa.


I dirigenti a tempo determinato (1.684) quindi, rappresentano il 34,6% del totale dei dirigenti comunali; detto altrimenti, ogni 2 dirigenti a tempo indeterminato ce n'è 1 a tempo determinato.
In termini puramente medi, inoltre, i dirigenti comunali a tempo determinato organizzano circa 143 mila dipendenti (142.782) e presiedono ai servizi che riguardano circa 19 milioni e 400 mila cittadini (19.353.685).

I dirigenti a tempo determinato come risposta ad un effettivo fabbisogno organizzativo

I dati presentati da Ifel consentono anche di sfatare un mito, ampiamente diffuso nell'opinione pubblica, ovvero che i dirigenti a tempo determinato siano un puro e semplice “spreco”, assimilabili in tutto e per tutto alla figura del tanto vituperato “consulente”.
Se si considera infatti la struttura organizzativa dei comuni, appare abbastanza evidente che, trattandosi di organizzazioni con funzioni altamente standardizzate, il fabbisogno complessivo di risorse umane risulta direttamente proporzionale alla dimensione amministrata.
Una conferma diretta viene esaminando la correlazione esistente tra il numero totale dei dipendenti ed il numero della popolazione amministrata.
Ebbene, esaminando gli aggregati regionali, si percepisce subito che esiste una correlazione molto alta tra i due dati, tanto che le due serie presentano un indice di correlazione pari a 0,95 (si ricorderà che un indice pari a 1 equivale ad una assoluta dipendenza, di ordine matematico).
L'indice di correlazione, nonché il grafico di dispersione relativo, quindi dimostrano che, fatti salvi eventuali casi specifici, a livello statistico il dimensionamento dei comuni è abbastanza uniforme e “razionale”, quantomeno a livello di aggregati regionali.
Ebbene, i dati dimostrano che la medesima correlazione e la medesima “razionalità” esiste anche a proposito della struttura dirigenziale esistente.
Se si considera il numero dei dirigenti esistenti e si studia la correlazione con la popolazione amministrata e con i dipendenti complessivi, infatti, si riscontrano anche in questi due casi degli indici di correlazione molto elevati: 
  • 0,93 per la correlazione tra numero dirigenti e popolazione
  • 0,90 per la correlazione tra numero di dirigenti e numero di dipendenti

Il significato di questi ultimi dati pare abbastanza chiaro: la struttura dirigenziale complessiva, a livello aggregato, appare sostanzialmente “razionale”, essendo collegata in maniera diretta e strettissima alla dimensione della macchina organizzativa e dei servizi da erogare.
Stando così le cose, è possibile sostenere che i dirigenti che attualmente sono in servizio (indipendentemente se siano a tempo determinato o a tempo indeterminato) sono “i dirigenti che servono” per far funzionare la macchina amministrativa. 
Anzi, un po' di meno.
Se infatti si considera la retta di regressione relativa al rapporto dirigenti-popolazione, essa è descritta dalla seguente equazione: y = 11186*x + 79326, dalla quale discenderebbe che, dato per noto la popolazione complessiva, i dirigenti esistenti dovrebbero essere 5.302 (ovvero 135 in più di quelli effettivamente esistenti)
Considerando invece la retta di regressione relativa al rapporto dirigenti-dipendenti (y = 79,486*x + 1808,6), inoltre, i dirigenti esistenti dovrebbero essere 5.490 (ovvero 322 in più di quelli effettivamente esistenti).
La presenza dei dirigenti a tempo determinato, in ultima istanza, rispondono all'esigenza di una organizzazione “razionale” dei comuni e non sono affatto un'aggiunta rispetto ad un fabbisogno esistente: senza di loro, le macchine comunali soffrirebbero di un deficit di funzione manageriale e, quindi, funzionerebbero tendenzialmente peggio.
Una controprova della razionalità delle dotazioni dirigenziali esistenti, infine, viene ex-converso, dalla minore razionalità e corrispondenza ai fabbisogni che si otterrebbe eliminando i dirigenti a tempo determinato ed ipotizzando che rimangano solo i dirigenti a tempo indeterminato attualmente esistenti.
In questo caso, infatti, la struttura dirigenziale sarebbe meno equilibrata, come è dimostrato dall'indice di correlazione tra i dirigenti a tempo indeterminato e la popolazione (che scende da 0,93 a 0,91) e da quello di correlazione con i dipendenti complessivi (che scende da 0,90 a 0,89).

La patria dei dirigenti a tempo determinato

I 1.684 dirigenti a tempo determinato in attività nei comuni nel 2011 non sono distribuiti in maniera uniforme sul territorio nazionale.
Al contrario, la maggior parte di loro opera nella Regioni del Nord Italia (il 41,63% del totale),  cui segue la localizzazione al Centro (26,01%), al Sud (23,22%) e nelle Isole (9,14%).
Interessante anche il dettaglio regionale, che trova al vertice della graduatoria di distribuzione dei dirigenti a tempo determinato la regione Emilia-Romagna e la regione Lombardia, seguite, quasi a pari merito, da Campania e Toscana.
I dirigenti a tempo determinato, inoltre, sono una risorsa utilizzata soprattutto nei contesti di maggiore dimensione.
Se infatti si calcola l'indice di flessibilità della dirigenza (dato dal rapporto tra dirigenti a tempo determinato e dirigenti a tempo indeterminato), ci si rende conto che esso assume crescente a la crescere della dimensione demografica degli aggregati considerati, essendo i dirigenti a tempo determinato utilizzati in termini relativi di più nelle ragioni di maggiori dimensioni.
Indice di flessibilità della dirigenza per classe demografica di appartenenza
(classe dimensionale “grande”: con abitanti uguali o superiori a 5 milioni
classe dimensionale “medio-grande”: con abitanti da 3,5 milioni fino a 5 milioni
classe dimensionale “medio-piccola”: con abitanti inferiori a 3,5 milioni)

L'impatto del ricorso ai dirigenti a tempo determinato

Se quindi il Dirigente a tempo determinato lavora principalmente al Nord e a farvi ricorso sono le realtà di maggiore dimensione, è interessante cercare di investigare i risultati conseguiti, con particolare riferimento al mito già evocato dei dirigenti esterni come fonte di sprechi.
Per indagare questo aspetto, è possibile suddividere i dati relativi agli aggregati regionali disponibili in tre gruppi, in funzione della flessibilità della struttura dirigenziale.
Tale flessibilità viene stimata facendo ricorso al già citato indice di flessibilità della dirigenza; vengono quindi considerati
  • a struttura dirigenziale fissa gli aggregati regionali in cui l'indice di flessibilità varia tra 0 e 0,28
  • a struttura dirigenziale media gli aggregati regionali in cui l'indice di flessibilità varia tra 0,35 e 0,48
  • a struttura dirigenziale flessibile gli aggregati regionali in cui l'indice di flessibilità varia tra 0,71 e 1,09 (escludendo i dati relativi al Molise che, con un indice di 2,00 rappresenta un valore anomalo della distribuzione)
Ebbene, se si considera la spesa corrente per abitate fatta registrare in ciascun aggregato territoriale disponibile nel 2010 (dati Istat), si scopre che detto valore diminuisce al crescere dell'indice di flessibilità, passando da 994 euro pro-capite nelle regioni a struttura dirigenziale fissa, a 859 euro pro-capile nelle regioni a struttura dirigenziale flessibile.
Insomma, nelle realtà in cui si fa maggior ricorso ai dirigenti a tempo determinato, i comuni spendono meno e, semplificando in modo drastico e un po' provocatorio, sono più efficienti.

Un abbozzo di conclusione

Alla luce dell'analisi condotta, con tutti i limiti derivanti anche dei dati disponibili, non è certo possibile giungere ad una conclusione definitiva.
Tuttavia, pare che sussistano significativi indizi che vanno contro il mito del dirigente a tempo determinato come fonte di spreco e di clientelismo (malattia che la vulgata vuole come tipicamente “meridionale”).
Il dirigente a tempo determinato, in Italia, risponde a bisogni organizzativi esistenti, opera soprattutto nel nord e nelle realtà di maggiore complessità e contribuisce alla riduzione delle spese correnti sostenute.
Insomma, una risorsa preziosa, da non sacrificare sull'altare del populismo.

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