L'Assemblea Generale dell'Onu ha deciso che, dal 2013 in poi, il 20 marzo (giorno in cui scrivo questo articolo, come "tributo" personalissimo all'iniziativa) sarebbe stata la "giornata internazionale della felicità".
Lo ha fatto con una dichiarazione solennissima, di quelle che rimangono nella storia:
La felicità e il benessere sono obiettivi universali e devono essere riconosciuti come tali dalla politica pubblica come anche la necessità di un approccio più aperto, equo e bilanciato a una crescita economica che promuova uno sviluppo sostenibile, la cancellazione della povertà e la felicità di tutte le persone.
Jigme Khesar Namgyel Wangchuck con la giovane sposa Jetsun Pema |
La giornata è stata consacrata con una risoluzione votata il 12 luglio 2012 (A/RES/66/281) all'unanimità dai rappresentanti dei 193 Stati membri, su proposta del Regno del Bhutan, minuscolo stato dell'Asia (tra i più poveri del continente, con un reddito pro-capite di poco superiore ai 2000 dollari) che ha deciso (geniale trovata del suo sovrano Jigme Khesar Namgyel Wangchuck) di "abbandonare" il PIL (il "prodotto interno lordo", guardando il quale sarebbe giusto dire: "non ci resta che piangere") per adottare un più rassicurante FIL (la c.d. "felicità interna lorda", ossia un indicatore che misura il benessere non sulla base dei consumi finali, ma su quella della felicità dei cittadini).
Un applauso all'Onu, al Re del Bhutan e a tutti i rappresentanti seduti all'Assemblea Generale.
Ora, sono sicuro che molti miei contemporanei (classificabili, per comodità, nella categoria assai fumosa ed indefinita di "grillini"), hanno tratto una grande soddisfazione da questa giornata, considerandola forse una chiara testimonianza "mondiale" della necessità di abbracciare la c.d. "decrescita dolce".
Basta produrre, basta accumulare, basta consumare: accontentiamoci di meno, stiamo insieme sorridendo, beiamoci di stupendi tramonti; in una parola, facciamo l'amore e non facciamo la guerra.
Tuttavia.
Eh sì, c'è un "tuttavia". L'Onu, infatti, nel dichiarare la "felicità" come un "obiettivo universale", richiede sì un approccio più aperto, equo e bilanciato, ma pur sempre un approccio alla crescita economica che, promuovendo uno sviluppo sostenibile, porti alla cancellazione della povertà, ossia alla felicità di tutti.
Non la tiro per le lunghe: la giornata sarà pure stata promossa sulla scorta della riflessione che i soldi (ovvero, la ricchezza) non fanno la felicità, ma quello che si propone di ottenere è che tutti abbiano più soldi, possibilmente senza sfanculare il globo terracqueo e senza farci soffocare tutti da iniezioni irrespirabili di Co2.
Insomma, alla fin fine, siamo sempre dentro la vecchia, rassicurante (e, io direi, innegabilmente corretta) prospettiva dell'economia classica: maggior reddito pro-capite per tutti grazie al quale, ognuno, possa trovare la propria felicità.
Alla fin fine, quindi, rileggendo la risoluzione dell'Onu, ci si rende conto che essa non fa che parafrasare la ben più antica ed autorevole Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America:
Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati ...
Dire che la felicità deve essere riconosciuta dalla politica pubblica come un obiettivo universale (Onu), non è equivalente a dire che i Governi sono creati allo scopo di garantire il diritto inalienabile alla ricerca della Felicità (Dichiarazione di Indipendenza) ?
Se questa equivalenza è acclarata, sembra che l'Onu (proponendosi la cancellazione della povertà) proponga al fondo di abbracciare l'unica strada che pare conoscere: il liberalismo USA.
Alla fine di questo ragionamento, quindi, permettetemi di non seguire l'invito del Segretario Generale dell'Onu che oggi, in occasione di questa "giornata internazionale della felicità", avrebbe invitato il mondo intero a "sorridere".
Io non sorrido. E per una costatazione semplice: se la felicità viene dalla maggior ricchezza di tutti, con la crisi che impera, le imprese che chiudono ed i tassi di disoccupazione ai massimi storici, non c'è proprio niente, ma niente, per cui sorridere.
Testo della Risoluzione dell'Assemblea generale dell'Onu
Resolution adopted by the General Assembly[without reference to a Main Committee (A/66/L.48/Rev.1)]66/281. International Day of HappinessThe General Assembly,
- Recalling its resolution 65/309 of 19 July 2011, which invites Member States to pursue the elaboration of additional measures that better capture the importance of the pursuit of happiness and well-being in development with a view to guiding their public policies,
- Conscious that the pursuit of happiness is a fundamental human goal,
- Recognizing the relevance of happiness and well-being as universal goals and aspirations in the lives of human beings around the world and the importance of their recognition in public policy objectives,
- Recognizing also the need for a more inclusive, equitable and balanced approach to economic growth that promotes sustainable development, poverty eradication, happiness and the well-being of all peoples,
- Decides to proclaim 20 March the International Day of Happiness;
- Invites all Member States, organizations of the United Nations system and other international and regional organizations, as well as civil society, including non-governmental organizations and individuals, to observe the International Day of Happiness in an appropriate manner, including through education and public awareness-raising activities;
- Requests the Secretary-General to bring the present resolution to the attention of all Member States, organizations of the United Nations system and civil society organizations for appropriate observance.
118th plenary meeting28 June 2012
Nessun commento:
Posta un commento