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lunedì 11 marzo 2013

Come farsi mettere all'angolo. #BersaniFirmaQui


Diciamolo: stavolta Beppe Grillo ha fatto centro. 
Il Pd lo insegue a partire dal minuto successivo a quello in cui si è avuta contezza del risultato delle elezioni che hanno consegnato al Paese un Parlamento sostanzialmente ingovernabile.
Il buon Bersani si è messo di buzzo buono e, dopo essere apparso parecchio provato e turbato, dopo esser rimasto in silenzio mentre le correnti interne si affannavano a spirare sui giornali (consigliando governissimi con il PDL, oppure accordi basati sulla equa e cencelliana spartizione delle poltre di presidenza di Camera e Senato), alla fine ha deciso come procedere. Eppure gli è andata male.

La sintesi del suo ragionamento era semplice:
Qua non ce la si fa a governare. E mica possiamo star fermi, oppure fare accordi col giaguaro, mentre Grillo arriva al 60% dei voti. Qua bisogna far scendere il tacchino dal tetto. Ora la dico chiara: noi si fa una proposta alla grillina. Tagliamo il programma con l'accetta e tiriamo fuori un programma di 5, 6 punti... Anzi no. Noi siamo sempre il PD, non ce ne possiamo uscire con pochi punti...
Noi facciamo un programma in 8 punti tutti pienamente grillini (pieni di sottopunti, così i nostri stan lì a discutere tra loro e non rompono le balle), e diciamo a Beppe di votarci per farceli fare. Grillo dice di no. Noi si va al voto, e si spiega agli italiani che Grillo li ha traditi e che dice cose che poi non c'ha mica le palle per farle.
Nella prossima campagna elettorale (senza Monti e Ingroia tra le scarpe) noi facciamo quelli di rottura, alziamo un po' la voce, parliamo alla pancia del paese e così ci riprendiamo quei quattro punti percentuali con cui riusciamo a vincere. Fra sei mesi la giostra ricomincia e noi siamo in sella [ndr. Libera interpretazione del pensiero di Bersani]
Ed infatti nella Direzione del partito (rigorosamente in streaming on line su youdem), i suoi otto punti li ha presentati:
  1. Fuori dalla gabbia dell'austerità
  2. Misure urgenti sul fronte sociale e del lavoro
  3. Riforma della politica e della vita pubblica
  4. Proposte per la lotta alla corruzione e il falso in bilancio
  5. Legge sui conflitti di interesse, sull'incandidabilità l’ineleggibilità e sui doppi incarichi
  6. Economia verde e sviluppo sostenibile
  7. Diritti
  8. Istruzione e ricerca
E dopo 9 ore (diconsi 9) di liturgia di partito, Bersani riceve l'imprimatur dal partito e inizia la sua battaglia.
C'erano tutti ad ascoltare la linea: Letta, Bindi, D'Alema, Veltroni, Francescini.... e c'era pure Matteo Renzi, il nuovo che avanza e che, si voglia ammetterlo oppure no, minaccia ormai in modo incombente la gerarchia di partito.
Ma Matteo non parla e dopo un paio d'ore se ne va...
E qui che comincia ad aprirli lo spazio dentro il quale Grillo alla fine si è inserito.
Diciamocela tutta: l'idea degli otto punti era buona: non c'è una sola ragione al mondo per cui Grillo dovrebbe negarsi a fare le riforme proposte.
Hai voglia di parlare di Non-Statuto che vieta ogni alleanza con i partiti tradizionale. Hai voglia di mandare a fanculo tutto e tutti. La situazione è difficile. E i grillini cominciano a friggere, tant'è vero che il provero Grillo deve addirittura minacciare di andar via "serenamente".

Ma poi, succede l'impensabile, e la situazione s'è capovolta.

La dipartita prematura di Matteo Renzi dalla Direzione Nazionale del PD, infatti, dopo poche ore diventa un'opinione chiara, espressa sulla Tv nazionale a "Che tempo che Fa": "Gli otto punti vanno bene. Bersani ne aggiunga un altro: la rinuncia al finanziamento pubblico ai partiti [ndr. sintesi liberamente effettuata]".


La gerarchia del PD, da parte sua, non sa cogliere l'occasione di rimanere in silenzio e, il giorno successivo, pubblica una nota a dir poco assurda, con la quale, inaudito, bacchetta on-line un dirigente di primissimo piano del partito:
Rivedere finanziamento ai partiti, ma insieme a norme su trasparenza e democrazia interna. Il tema è ben presente negli 8 punti approvati dalla Direzione nazionale
Chi ha seguito i lavori della Direzione nazionale del Pd [non come ha fatto Renzi] sa bene che il tema del finanziamento ai partiti è ben compreso negli otto punti approvati all'unanimità [leggasi: 'Renzi: che caspita dici?!? Abbiamo già detto tutto. Non permetterti di intervenire].
Siamo intenzionati e pronti a rivedere [NB: rivedere, NON abolire] il finanziamento ai partiti, dentro a norme che riguardino anche essenziali garanzie di trasparenza e di democrazia nella loro vita interna. In una democrazia costituzionale una formazione politica che si presenta alle elezioni per governare dovrà pur dare qualche garanzia democratica [leggasi: O Grillo accetta di togliersi dai piedi, o noi ci teniamo il finanziamento pubblico]. O forse è questo un tema meno rilevante rispetto a quello dei finanziamenti?
Il comunicato è una autentica anomalia, come hanno evidenziato bene molti rappresentanti del partito (leggi questo articolo, per esempio). Ma soprattutto ha messo in luce un nervo particolarmente scoperto nel PD, una scollatura pericolosa, una incrinatura significativa.
Insomma, con questa piazzata e contro-piazzata pubblica {aggiornamento: la polemica non accenna ad esaurirsi: leggi qui}, il PD offre la schiena al proprio nemico (Grillo) che ne approfitta per affondare il proprio fendente, uscire dalla difficoltà e rigirare la frittata contro Bersani ed i suoi.

Ed ecco il colpo di maestro, annunciato da Beppe Grillo con un tweet e con un articolo pubblicato suo Blog.

Trattasi di colpo da maestro.

Insomma, prima ancora che arrivi la velenossisima domanda di Bersani ("Vuoi tu, o Grillo, fare le riforme che noi proponiamo?), Grillo si auto-assolve dal dover rispondere con una domanda altrettanta velenosa: "Vuoi tu, o Bersani, firmare un semplice foglio di carta con cui rinunci ai TUOI rimorsi elettorali?".
Domanda mortale per Bersani, e per due ordini di ragioni.

Perchè gli è soggettivamente impossibile rispondere e lo catapulta nel bel mezzo di una faida senza uscita. Se rispondedesse di "sì", verrebbe accusato di populismo dai suoi fedelissimi. Se rispondesse di "no", sarebbe accusato di essere una cariatide politica dai rottamatori e di non aver il coraggio di attuare il cambiamento che ha sbandierato e rivendicato in Direzione.

Ma si tratta di una domanda mortale perché gli è oggettivamente impossibile rispondere.

Bersani ed il PD di quei soldi hanno bisogno.

Il Partito Democratico è una organizzazione grande, professionale (nel senso che è fatta di professionisti, di gente che fa quello per mestiere [e qui non c'è niente di dispregiativo: potersi vantare di essere un 'politico professionale', ovvero di un politico che opera con competenza e professionalità, che non si  improvvisa, secondo me è un grandissimo pregio]), e come tutte le grandi organizzazioni ha dei costi di struttura che si devono coprire.
Il Partito Democratico non è il Movimento 5 Stelle, tutto sul web (che porta ricavi invece di costi), ha sedi, funzionari, impiegati...
E Bersani non è Berlusconi: non è un miliardario che può permettersi di spendere del proprio...

Il dato è tratto ed ancora una volta Bersani ed il PD sono riusciti a farsi mettere nell'angolo. In fondo, è bastato un hashtag: #BersaniFirmaQui

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